Noi abitiamo in spazi e luoghi…
Lo spazio e il luogo del progetto è il corridoio di accesso alle sale operatorie.
E' uno spazio di passaggio.
Le porte si aprono, il letto o la barella spinta dai barellieri lo percorre.
Le porte si chiudono mentre dall'altra parte non si sono ancora aperte.
Questo è lo spazio del non più e del non ancora.
Non più con i propri familiari, non ancora in sala operatoria.
Raramente è uno spazio affollato; qui passa una letto per volta.
E' un luogo silenzioso, a volte vi si sente solo il cigolio delle ruote della barella e il rumore delle porte automatiche, altre volte qualche parola del barelliere.
Chissà se in questi momenti si ascoltano più volentieri quei pochi rumori o quelle poche parole
oppure il suono del silenzio? E quella ruota che cigola rassicura di più del silenzio
che ci abita e che a volte finisce per dilatare questi istanti fino a comprenderne il senso profondo?
Dall'altra parte del corridoio altre barelle, altre persone in attesa, altri me, altri silenzi.
Il silenzio qui sarà quello che ciascuno avrà afferrato e portato con sé in quel tempo, in quell’attraversare lo spazio.
I piccoli lo attraversano con la mamma e il papà, le loro rassicurazioni.
Genitori e figli.
I primi preoccupati gli altri a volte curiosi per la nuova esperienza … il camice … il cappellino;
poi i più piccini, lo attraversano ancora nella pancia della loro madre e ne escono in culle calde e trasparenti per gli occhi di chi li aspetta fuori sorridente.
E' lo spazio che i professionisti del blocco operatorio attraversano ogni mattina, che il chirurgo e l’anestesista ripercorrono per incontrare i familiari, per ascoltarli, per rispondere alle loro domande, per rassicurare. E’ lo spazio che chirurghi, anestesisti, infermieri, strumentiste, OSS, ausiliari, segretarie, coordinatori, attraversano a fine giornata per rientrare a casa.
E' luogo di ri-generazione, spazio e tempo di un progetto di umanizzazione dei luoghi della cura, che ha l’obbiettivo di renderlo più accogliente. Prima spazio non curato, ora luogo in cui si lavora insieme per prendersene cura, per prendersi cura gli uni degli altri.
E’ un progetto nato dai professionisti del servizio e condiviso dalla direzione aziendale, che vuole accogliere i pazienti, piccoli e grandi che siano, con forme e colori che diventano alberi e rami stilizzati. I muri di questo corridoio e quei rami accolgono le fotografie del personale che così si presenta ai loro pazienti per accompagnarli nell’attraversarlo.
La convinzione che ogni luogo che abitiamo, ogni spazio che attraversiamo … ci abita e ci attraversa a sua volta nel profondo e, nel bene o nel male, sempre, fa accadere in noi qualcosa ci ha mossi a prenderci cura di questo luogo, così fortemente simbolico per chiunque lo attraversi,
Noi abitiamo uno spazio ma quello spazio abita in noi.
Ci abita con la sua bellezza, con i suoi colori, le sue forme, le sue materie, la sua luce, i suoni e il suo silenzio.
Marzo 2028
Vincenzo Segala, 1956 Anestesista. Un giorno, di qualche tempo fa, ho visto gli infermieri piangere per la morte di una loro collega ed ho pensato che non avrei più avuto accanto quella straordinaria professionista, a cui alcuni ignari pazienti devono la loro sopravvivenza. E che il mio lavoro sarebbe diventato più difficile. Poi ho pensato alla persona, alle persone, ed è stata una cosa nuova iniziare a guardare la gente che popola il mio mondo da un altro punto di vista, andando oltre a quella tecnica che se esercitata caratterizza solo il lavoro dell'artigiano, fino a vedere le note di una espressione artistica in alcuni sanitari. Mi piace pensare che si andata così. In ogni caso una emozione ed un nuovo intento relazionale sono diventati in quel momento più visibili, ed è sembrato possibile parlare nuovamente di quel valore umano, da tempo schiacciato dal ritmo del processo produttivo, come motivo fondamentale della scelta professionale di moltissimi sanitari. Il piano umano come risorsa nell'esercizio globale della professione, uno strumento potente per la qualità e la quantità del nostro lavoro. Dalle parole ai fatti, questo il merito di alcuni infermieri che oltre alla passione hanno utilizzato strumenti culturali nuovi per la costruzione di luoghi e spazi di umanizzazione per tutte gli uomini. Sono orgoglioso di abitare questo spazio con loro.
Febbraio 2028
Monica Fiorentini, 1965 Strumentista Sala Operatoria
La mia testimonianza come parte attiva del progetto è quella di aver svolto un lavoro che mi ha arricchito personalmente, spiritualmente e professionalmente , aiutandomi a sviluppare la capacità di relazione con gli altri, di collaborazione al di fuori dei compiti lavorativi per un fine comune; fine che dall'"unico" da cui è partito si è rivolto al "gruppo" prima e al "sociale" poi, facendomi sentire parte di qualcosa che è in divenire, che ha ancora da fare e da donare, che ha e può coinvolgere molti altri e molto altro, con la speranza di esserne ancora parte .